Mancanza di autostima, è una vera e propria sindrome.
Alla fine degli anni 70 era molto in voga un cartone animato che ebbe un enorme successo, che narrava le vicende di Calimero; il pulcino nero con un guscio come cappello. Il finale di ogni puntata aveva sempre lo stesso leit motiv: Calimero si ritrovava solo, sconsolato ed incompreso, vittima di soprusi e ingiustizie e sventurato come non mai.
Chi di noi non si è mai immedesimato in quel pulcino così indifeso e sfortunato?
Nella vita capita a tutti di diventare oggetto di circostanze negative, e di sentirsi perseguitati dal senso di ingiustizia e prevaricazione.
In alcuni casi però questa attitudine diventa cronica, tanto da essere riconosciuta come malattia e mutuare la denominazione di “sindrome di Calimero .
Anche se il nome è simpatico, in realtà si tratta di un disturbo serio che condiziona la vita sociale e affettiva delle persone.
Il vittimismo patologico nasce dal pessimismo, e chi ne è colpito si sente bersaglio del destino avverso. Ogni piccola critica ferisce oltremodo e fa sentire inadeguati, non all’altezza della situazione. Di conseguenza accrescono i pensieri negativi, e la scarsa autostima scatena i sensi di colpa.
Quasi sempre si tratta di un modo inconscio per esprimere un disagio dovuto all’immaturità nel gestire i rapporti e all’impossibilità di affrontare la realtà.
Il vittimismo si innesca quando una persona capisce di non poter vivere una relazione in modo paritario. Diventare vittima attira indulgenza, affetto e protezione.
Ma c’è anche il rovescio della medaglia! I soggetti in questione molto spesso diventano “tiranni psicologici”. Ovvero sfruttano e tengono sotto scacco le persone disposte ad aiutarli, innescando una reazione a catena che fa sentire questi benefattori, a loro volta, in colpa.
Ma quali sono le cause del vittimismo?
Sovente vanno ricercate scandagliando gli anni dell’infanzia. Possono essere gli schemi appresi da un genitore (quasi sempre la figura materna); o la violenza fisica o psicologica subita da piccoli; o magari l’indifferenza e la mancanza di affetto da parte della famiglia di origine.
Per chi si sente chiamato in causa e riconosce di essere afflitto da questa patologia, il consiglio principale è quello di affrontare il problema. Ovvero cercare di sconfiggere l’insicurezza.
Il modo migliore è riuscire ad osservare se stessi con distacco, come se si guardasse un film: il personaggio della vittima non è mai positivo e non è in grado di superare le difficoltà, per cui non sarà mai felice. Questo per comprendere che l’unica soluzione sta nel cambiare atteggiamento, e tentare di superare il trauma latente. Mettere da parte il bambino lagnoso e fare entrare in scena la persona adulta e responsabile farà prendere coscienza dei propri obblighi; evitando di attribuire le eventuali problematiche al destino o alla malevolenza altrui.
Chi sta dalla parte opposta, ovvero l’individuo che ha sperimentato la pesantezza di stare accanto a una persona predisposta al vittimismo, dovrebbe invece liberarsi dal senso di colpa. Probabilmente la vittima in questione trova terreno fertile in costui, per via di una sensibilità fuori dal comune; o perché fa leva sulla sua inclinazione a sposare i temi dei più deboli.
Per aiutare i “Calimero”, bisognerebbe aiutarli a crescere. Non essere accondiscendenti e mantenere un contegno fermo e integerrimo, per metterli di fronte ai loro errori comportamentali.
Solo in questo modo possono acquisire l’autostima necessaria ad avere un atteggiamento più maturo rispetto alle varie dinamiche relazionali.
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