Marina Abramović, un incontro inaspettato con la nonna della performance

Per gli amanti dell’arte contemporanea, ma non solo; per chi ama la vita, la riscoperta di se stessi, il guardarsi dentro, cercando risposte in un luogo profondo all’interno della nostra anima, al fine di capirsi e migliorarsi, riflettendo negli altri comportamenti e, spesso sbagli mai capiti…per essere migliori e domandarsi perché oggi siamo qui e come.

Vi presento la nonna della performance art : la grande artista Marina Abramović.

Nata a Belgrado (Serbia) nel 1946 inizia la sua carriera dopo aver frequentato l’Accademia di belle arti nel paese nativo (dal 1965 al 1972), influenzata dalla particolarità delle sue origini: suo nonno, ex patriarca della chiesa ortodossa serba, venne proclamato santo, mentre i genitori erano partigiani durante la seconda guerra mondiale.

Probabilmente per il suo vissuto infantile-adolescenziale indubbiamente rigido, esterno alla seconda guerra mondiale di per se, si riflette nelle sue opere la spinta verso la ricerca di se stessa coinvolgendo spesso il pubblico nella ricerca del vero io.

Tre sono i luoghi come punto cardine della sua esistenza: Belgrado, dove è nata e vissuta; Amsterdam, luogo cardine dato dall’incontro di Uwe Laysiepen (in arte Ulay), artista fotografo tedesco, folle amore e compagno in diverse opere di performance dell’Abramović; infine New York, luogo di consacrazione per la sua espansione artistica dove presiede tutt’ora alla veneranda età di 72 anni ed in cui ha acquisito la cittadinanza.

Le sue performance

La performance è un azione intesa come opera d’arte dove viene messo al centro di azione il corpo dell’artista, con coinvolgimento del pubblico esterno; è un evento temporaneo in divenire (mobile) con il coinvolgimento emotivo ma anche fisico dello spettatore.

Le sue performance sono toccanti, intime, mirano a puntare sull’emotività della gente che ha il privilegio di prenderne atto. E, spesso, violente: parliamo del filone di Rhythm, una serie di performance numerate in cui l’artista mette a dura prova fisica il proprio corpo.
Parliamo di Rhythm 10, Rhythm 0 e Rhythm 5.

Rhythm 10 → Qui Marina tenta di esplorare i limiti fisici del suo corpo infliggendosi non apposta ferite alla sua mano, con una serie di coltelli affilati, tentando di passare tra gli spazi creati dall’apertura della mano, dito per dito, registrandosi e riascoltandosi dopo un tot di tempo, ripetendo infine i tagli inflitti a se stessa, riflettendo sul tempo, da creare una mescolanza tra passato e presente.

Rhythm 0 → un tavolo; Marina semi-nuda; oggetti di incontro tra piacere e dolore. Lei, impassibile ed immobile per la durata di sei ore, ordina al suo pubblico di farsi infliggere ferite, o qualsiasi tipo di azione in direzione del suo fisico, al fine di mettere alla prova la sua resistenza attraverso la strategia dell’esecuzione.

L’eccitazione del pubblico, diventata incontrollata in un secondo momento, le causò tagli su varie parti del corpo e squarci sui vestiti. Si rese conto così che aveva centrato il suo obbiettivo: aveva creato scalpore, la nascita delle reazioni dell’altro era ciò che le destava interesse. Se un’azione veniva dichiarata impunita, il carnefice dava sfogo al suo sadismo in maniera prettamente senza controllo.

Rhythm 5 → qua l’artista rischio la vita, quasi soffocando mentre presentava la sua performance. Sempre alla scoperta del limite fisico, Marina appicca il fuoco su di una grande stella in legno disposta orizzontalmente a terra, intrisa di petrolio; il senso della performance era la purificazione, la catarsi.

Dopo essersi tagliata unghie di mani e piedi, si accorciò notevolmente anche i capelli, gettando il tutto sul fuoco, creando scintille di stupore per il pubblico. Infine si dispose al centro, tra le fiamme, perdendo di lì a poco i sensi per la mancanza di ossigeno. Venne trascinata all’esterno da qualche spettatore che si rese conto che ella non era più presente.

MARINA ABRAMOVIĆ un incontro inaspettato

Marina e l’amore

Si potrebbe discutere di amore per la sua carriera, per il senso che mostra nel suo operato a favore dell’altro; ma di amore si parla per riflesso nel suo Ulay, una passione a 360 gradi ripercossa nella vita privata e non.

Nelle loro opere creò scalpore Imponderabilia (1977); i corpi dei giovani artisti erano posti l’uno difronte all’altro, con una distanza irrisoria e, proprio quell’irrisorio è interessante; era lo spazio in cui il pubblico doveva partecipare, anteponendosi tra i due artisti, passando in mezzo ai loro corpi nudi.
La reazione di imbarazzo ed indecisione nello spettatore costretto alla partecipazione grazie al passaggio tra i due, era tangibile.

Bellissima performance che annuncia il culmine della loro relazione fu “The Lovers”, del 1989, ambientata in Cina proprio sulla muraglia cinese, che si espande in lunghezza totale per oltre 21.000 km; entrambi gli artisti presero posto ad un tratto estremo l’uno dall’altro, uno su di un lato, l’altra su quello opposto, bilanciandosi ad una distanza totale di 2.500 km, camminando per tre mesi sino al loro incontro, il loro ultimo ed incredibile incontro di addio.

Vincitrice del Leone d’oro alla Biennale di Venezia nell’anno 1997, con la sua opera “Balkan Baroque, di incredibile suggestione. Per giorni Marina pulisce con una spugna, un cumulo ossa bovine insanguinate, nel mentre intona lamentele e litanie.
Tutto ciò in onore della sua patria, durante la guerra dei Balcani che soccombeva in quel periodo.

Tra le virgolette la carriera di Marina si blocca nell’anno 2010, con l’opera dal titolo “The artist is present”. Incredibilmente emozionante, che nonostante la semplicità emana un carico di energia e sensazioni penetranti. Lei è posta pressoché immobile, seduta su una rigida sedia in legno accompagnata da un tavolo, altrettanto succinto da un altra seduta, posta per lo spettatore.

È un legame dei sensi, di sguardi profondi, di esplorazione sull’io dell’altro essere umano. Della durata di un tempo ‘infinito’ di tre mesi, un accadimento la sconvolse notevolmente. Si presenta Ulay durante la sua performance, ponendosi difronte a lei a distanza di 20 anni dalla fine della sua storia.
Si guardano..si toccano..sai emozionano. E con essi il loro pubblico.

Marina Abramović vi aspetta ad un evento unico a Firenze presso ‘palazzo Strozzi’ (la strozzina) dal 21 settembre 2018 al 20 gennaio 2019, con un complesso di 100 opere che offrono una panoramica del suo operato dagli anni ’70 agli anni 2000. Qui per i vostri ticket.

Non perdetevi la profondità, la chiave essenziale con cui Marina ha spinto milioni di persone ad adottare il suo pensiero.

Concludo con una sua celeberrima ed essenziale frase:

“The hardest thing is to do something which is close to nothing because it is demanding all of you”.

(La cosa più difficile è fare qualcosa che è vicino al niente, perché richiede tutti quanti voi)

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